Lei ha fatto bene, signor Presidente del Consiglio, ad esprimere, con lessico inusuale, piena costernazione sui criteri di applicazione dei patti europei inerenti al funzionamento della moneta unica.
Può dispiacere semmai che tali rimostranze giungano solo ora, dopo il tempo non breve trascorso da che sono entrati in vigore.
Ma preme assai più, che il dissenso dalla burocrazia di Bruxelles, certamente non esemplare nell'ispirazione politica che illumina il suo sentimento europeista, vada oltre l'ambito stretto della sua traduzione concreta.
L'omissione di regolamenti transitori, con cui la Commissione europea, avrebbe sicuramente potuto efficacemente regolare normativamente tutta la fase preliminare dell'entrata in vigore del "bail in", e prevenire la possibilità concretamente verificatasi della sua preventiva vanificazione.
Nel vuoto di ogni norma transitoria, è stato infatti consentito, da parte di alcuni paesi, di procedere alla sua trasgressione, evidenziando un "modus operandi", basato su astuzia o furberia, assai poco confacente con un concetto autentico di moneta unica: inconcepibile, senza il presupposto di piena buona fede fra i popoli che ne sono parte costituente.
Purtroppo, è facile per la Commissione europea, obiettare alle rimostranze, da Lei esternate, con il richiamo alla negligenza delle nostre rappresentanze, in sede politica come amministrativa, per la mancata tempestività, con cui, anche questa volta, sembrano essersi comportate.
In realtà, signor Presidente, esiste una diversa e più illuminante spiegazione delle tante criticità che, quasi ininterrottamente (ultimo il "bail in"), hanno costellato lo sviluppo economico del nostro paese, da circa tre lustri.
Da circa tre lustri, almeno, il nostro paese è vittima di un equivoco gigantesco, commesso nel 1998 , per conseguenza delle modalità adottate, al di fuori di ogni pubblica discussione, per l'entrata del nostro Paese nella moneta unica e ritenute propedeutiche ad essa.
In tale quadro, come cultore della materia e come assiduo militante del Partito di cui Lei è segretario, ho tentato da molto tempo di sviluppare l'analisi critica ed interpretativa del meccanismo di conversione della lira in euro.
Per raggranellare ogni utile informazione al riguardo ed accrescere le funzioni comparative di tale ricerca, ho appunto adottato lo strumento del presente blog
Ho fruito ogni occasione di pubblico confronto ed analizzato scritti di politici ed economisti, senza mai riscontrare alcuna articolata obiezione circa la fondatezza della denuncia precisa di una conversione sbagliata.
Sbagliata, in punta di dottrina e di conseguente, continuativa e tuttora operante, espropriazione di potere d'acquisto dei possessori di lire e dei titolari, pensionati e lavoratori, di reddito predeterminato in lire: per un ammontare quindi di incalcolabile valore.
Non è necessario compulsare la pagina "Perché questo blog", per appurare la fondatezza dei presenti enunciati.
Se ne può render conto, Presidente, chiedendo parere al suo Ministro dell'Economia che, nel 1998, ebbe l'incarico di coordinare un gruppo di esperti e, sul loro lavoro, promosse la pubblicazione di un libro: "L'Euro: Moneta Europea, Moneta Mondiale".
Orbene, (vedasi post in data 20 aprile u.s.), Pier Carlo Padoan, applicando calcoli raffinatissimi di analisi infinitesimale, giungeva a conclusioni comunque lontanissime da quello che risultò poi il valore definitivo attribuito alla nostra lira in rapporto all'euro.
In questa denuncia, tecnica e politica, Lei, per ragioni anagrafiche, è sicuramente scevro da responsabilità dirette inerenti ad una conversione la cui applicazione si è tramutata in un vero e proprio rapporto leonino.
Ma un patto di carattere leonino è intrinsecamente un patto "contra legem", perché amplifica le sperequazioni fra i contraenti, invece di determinarne nuovi benefici: come si può ricordare sia stato uno dei principali argomenti che indussero a modificare le clausole dei trattati di pace con la Germania, nei primi anni '50 dello scorso secolo.
Un patto quindi, non pertinente ad un progetto politico, l'Unità europea, che Lei, costantemente, non esita a definire di grande respiro ideale.
Sono sicuro, una volta assodata la fondatezza dei presupposti di questa lettera aperta, che Lei vorrà e saprà intraprendere le iniziative idonee alla correzione di una ingiustizia consumata, nel silenzio di molti, troppi, contro, e nell'ignoranza di, tutti gli Italiani.
Con distinti saluti, Pierluigi Sorti Roma, 3 febbraio 2016
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