Al profilarsi dell'ipotesi della creazione di un "super ministro" europeo dell'economia, Matteo Renzi è intervenuto ieri con una lettera a "la Repubblica" (che, per la penna di Scalfari, ne aveva apertamente sostenuto l'opportunità) per esprimere, nel merito, il suo netto scetticismo.
Con l'argomento che un tale incarico implicherebbe la preliminare condizione di una condivisa politica economica di tutta l'euro zona, al momento realisticamente inimmaginabile, il Presidente del Consiglio si è voluto efficacemente cimentare in una vera e propria requisitoria contro la strategia europea dell'austerità e del rigore.
Gli argomenti a favore non mancavano certo, e nel sottolineare i tanti problemi politici aperti in tutti i paesi dell'Unione oltre alle delusioni della politica sociale europea (immigrazione compresa), Renzi ha enfatizzato nella lettera la stabilità politica italiana: detentrice, secondo le sue parole, di una netta primazia europea.
Ed un risultato politico è stato effettivamente registrato già stamane: come è scenicamente emerso, nella cornice di una comune conferenza stampa a Palazzo Chigi, dalle nette dichiarazioni di grande apprezzamento politico, per il premier italiano, dal leader socialdemocratico tedesco Martin Schultz e Presidente del Parlamento europeo.
Sembra quasi che Renzi si senta obbligato dalle circostanze, oppure, come altamente auspicabile, possa sentirsi spinto da un suo autentico ripensamento critico della politica europea iniziata da Helmut Kohl e proseguita da Angela Merkel.
Cioè l'analisi critica di quella vera e propria camicia di Nesso che fu, per il nostro paese, l'adozione della moneta unica e proseguita poi con il "Fiscal compact" e da ultimo con il "bail in".
Se la svolta politica effettuata risultasse solo tattica, i vantaggi derivanti sarebbero di fatto limitati alla riemersione momentanea da una fase di protestantesimo politico solitario.
Come è appunto accaduto freneticamente, e non molto comprensibilmente, negli ultimi mesi per problemi di flessibilità dei nostri conti pubblici, la cui rilevanza è tutt'altro che essenziale e di scarsissima attrazione popolare.
Il ripensamento, nel coinvolgere tutto il Partito socialista europeo (il dormiente Pse), deve inevitabilmente investire criticamente il modello di Unione, per favorirne una svolta precisa in direzione federalista.
Ne conseguirebbe la revisione coerente dei trattati di Maastricht e la denuncia dell'iniquità della conversione della lira, identificando in essa il suo più efficace presupposto correttivo.
Alternativa irrealistica? Sia come sia, ma, il non affrontarla, può soltanto rendere definitiva la deriva nostra e dell'Europa come tale.
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