domenica 28 febbraio 2016

Shanghai, Roma e Bruxelles: caleidoscopio di differenti diagnosi del nostro paese

Nello stesso giorno, precisamente il 26 febbraio scorso, cioè due giorni or sono, da tre diverse fonti geografiche, istituzionali e politiche, lo stato di salute della nostra economia è stato oggetto di almeno altrettante e, soprattutto, non collimanti valutazioni.

Iniziamo dalla più importante di esse, pur se non specificamente relativa al nostro paese, ma per la rilevanza del numero e della qualità dei partecipanti del G.20 (rappresentati dai rispettivi ministri dell'economia e delle banche centrali dei 20 paesi economicamente più importanti), e riuniti a Shanghai, sotto l'egida dell'Ocse (organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico).

Dal cui portavoce si apprende come:"....il ritmo delle riforme è maggiore nei paesi dell'Europa del Sud, in specie Italia e Portogallo, pur rilevando; "..l'elevatezza della disoccupazione giovanile".

Al punto di vista dell' Ocse ed al nostro Ignazio Visco (che auspica la continuità della politica del Quantitative Easing della Bce), fanno il contro canto sia la presidente del Fmi (Fondo monetario internazionale) Christine Lagarde ed il ministro delle Finanze tedesco Wolfang Schauble.

La Lagarde con un laconico: "Basta trucchi politici e si mantengano gli impegni"; Schauble che deplora politiche finanziarie "accomodanti" e ribadisce il suo "no" a scorciatoie incompatibili con la politica reale e immune da pratiche inflazionistiche.

Forse involontariamente è Zou Xialchuan, il governatore della Banca Centrale Cinese, che riesce a confortare il nostro ministro Pier Carlo Padoan, raccontando che il Debito Pubblico nazionale registra una cifra pari al 250% del Pil della Repubblica cinese, cioè quasi doppio del nostro, ma anche un saldo positivo di 600 miliardi di dollari della bilancia commerciale dell'ex Celeste Impero.

Echi diversi e contraddittori, nelle stesse ore, ci pervengono invece, anche un po' paradossalmente, da Roma e Da Bruxelles.

Da Roma, infatti, con inconsuete ed affettuose formalità, Renzi e Juncker, si sono incontrati, in gruppo con le rispettive delegazioni e poi riservatamente.

Juncker non si è risparmiato con dichiarazioni a tutto nostro favore: "Se tutti agissero come l'Italia, avrei meno problemi" e Renzi, di rimando, non esita a proclamare: " Ridurremo il nostro Debito Pubblico, lo dobbiamo ai nostri figli".

Insomma con tali ed altre siffatte esternazioni i due leader politici hanno indotto tutta la stampa a titoli cubitali inneggianti al disgelo anche psicologico dopo gli scontri personali consumati nelle settimane scorse e giunti notoriamente sull'orlo della crisi diplomatica.  

Ma, forse con un filo di perfidia, non possiamo non chiederci se il presidente Juncker fosse già edotto dell'imminente messaggio da Bruxelles che sottolineava "l'elevato rapporto debito/Pil italiano, unito al deterioramento della competitività e della crescita" e "il grave deterioramento dei crediti bancari italiani".

Che poi queste note, comparate con quelle, molto meno preoccupanti relative ad altri stati dell'euro zona, vengano sottolineate come rilevazioni tecniche (e quindi prive di avallo politico della commissione europea), e possano quindi costituire un elemento poco preoccupante, non ci sentiremmo di sostenerlo.

Lo slogan della ripartenza dell'Italia rimane per ora un sintomo di ottimismo puramente verbale: sia intrinsecamente sia per la scarsissima credibilità che riscuote fuori dai nostri confini.

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