La scorsa domenica, 10 aprile, su Corsera, è apparsa una dettagliata intervista ad Hans-Werner Sinn, economista tedesco di chiara fama.
Già direttore, per oltre lustri, dell' Ifo, importante Centro Studi Economici di Monaco, il 68enne studioso tedesco è soprattutto considerato il custode tutelare dell'ortodossia economica tedesca.
Una ortodossia, piace sottolineare, per nulla affatto contigua a concezioni conservatrici, come facilmente si evince da nettezza di giudizi, echeggiati appunto nella menzionata intervista, quali: "...le banche centrali (dell'euro zona, n.d.r.) hanno agito eccessivamente a favore dei ricchi" con il risultato "di evitare la bancarotta ma di soffocare la ripresa".
Ma, prosegue lo studioso, con la specificazione che "la bancarotta, è stata solo temporaneamente evitata" mentre si sarebbe dovuto affrontare un processo catartico di "distruzione creativa, di stampo schumpeteriano", condizione necessaria perché le imprese, vecchie e fuori mercato, vengano espulse mentre, al loro posto, ne nascono di nuove e più confacenti con i tempi.
"In America, più di 500 banche, sono fallite, - ricorda Sinn - e la Fed (Federal Reserve, Usa) si è ben guardata dall'intervenire: ciò ha creato disciplina e reso possibile la ripresa"
Severa la sua allusione al nostro paese, incapace, a suo dire, di ridurre il suo debito, di distinguere tra rischi buoni e cattivi e di rispettare in pieno i vincoli di Maastricht.
Ciò non significa, per lo studioso tedesco, che il sistema finanziario degli Usa sia più debole di quello europeo, ma al contrario che il sistema politico europeo è più debole del suo stesso sistema finanziario ed economico.
"La Fed - conclude lo studioso - non ha mai comprato bond (obbligazioni) degli Stati americani, la Bce invece sì, al prezzo di rinunciare a essenziali riforme strutturali".
Come assai bene si può desumere, il descritto schema storico e concettuale è musica certamente carezzevole per le orecchie tedesche.
Il che non ci impedisce certo di porre simbolicamente, al professor Sinn, un quesito che investe in pieno le responsabilità politiche tedesche e naturalmente le speculari corresponsabilità dei governi che dovevano, potevano ma non hanno ritenuto di reagire.
Che visibilmente consistono nell'avere contaminato il meccanismo di formazione della moneta unica, strumentalizzato il fiscal compact, favorito la burocratizzazione graduale dell'apparato direzionale europeo ed,in contrapposto, nell'aver rovesciato ogni vocazione federalista dell'Unione in un confuso sistema consociativo ad (irreversibile ?) egemonia tedesca.
Già direttore, per oltre lustri, dell' Ifo, importante Centro Studi Economici di Monaco, il 68enne studioso tedesco è soprattutto considerato il custode tutelare dell'ortodossia economica tedesca.
Una ortodossia, piace sottolineare, per nulla affatto contigua a concezioni conservatrici, come facilmente si evince da nettezza di giudizi, echeggiati appunto nella menzionata intervista, quali: "...le banche centrali (dell'euro zona, n.d.r.) hanno agito eccessivamente a favore dei ricchi" con il risultato "di evitare la bancarotta ma di soffocare la ripresa".
Ma, prosegue lo studioso, con la specificazione che "la bancarotta, è stata solo temporaneamente evitata" mentre si sarebbe dovuto affrontare un processo catartico di "distruzione creativa, di stampo schumpeteriano", condizione necessaria perché le imprese, vecchie e fuori mercato, vengano espulse mentre, al loro posto, ne nascono di nuove e più confacenti con i tempi.
"In America, più di 500 banche, sono fallite, - ricorda Sinn - e la Fed (Federal Reserve, Usa) si è ben guardata dall'intervenire: ciò ha creato disciplina e reso possibile la ripresa"
Severa la sua allusione al nostro paese, incapace, a suo dire, di ridurre il suo debito, di distinguere tra rischi buoni e cattivi e di rispettare in pieno i vincoli di Maastricht.
Ciò non significa, per lo studioso tedesco, che il sistema finanziario degli Usa sia più debole di quello europeo, ma al contrario che il sistema politico europeo è più debole del suo stesso sistema finanziario ed economico.
"La Fed - conclude lo studioso - non ha mai comprato bond (obbligazioni) degli Stati americani, la Bce invece sì, al prezzo di rinunciare a essenziali riforme strutturali".
Come assai bene si può desumere, il descritto schema storico e concettuale è musica certamente carezzevole per le orecchie tedesche.
Il che non ci impedisce certo di porre simbolicamente, al professor Sinn, un quesito che investe in pieno le responsabilità politiche tedesche e naturalmente le speculari corresponsabilità dei governi che dovevano, potevano ma non hanno ritenuto di reagire.
Che visibilmente consistono nell'avere contaminato il meccanismo di formazione della moneta unica, strumentalizzato il fiscal compact, favorito la burocratizzazione graduale dell'apparato direzionale europeo ed,in contrapposto, nell'aver rovesciato ogni vocazione federalista dell'Unione in un confuso sistema consociativo ad (irreversibile ?) egemonia tedesca.
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