lunedì 11 luglio 2016

La pubblica ed inconscia autodenuncia, della propria inadeguatezza, di una classe dirigente

Sono sorridenti i volti, sulle foto di stampa nazionale, del ministro dell'economia, Pier Carlo Padoan, del presidente dell'Abi, Antonio Patuelli e del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco.

I tre esponenti dell'economia italiana appaiono visibilmente compiaciuti degli applausi riscossi per le allocuzioni, da loro appena sciorinate, davanti ad una affollatissima assemblea plenaria dell'Associazione bancaria italiana (Abi, acronimo), lo scorso 8 luglio.

Quale fosse il reale grado di adesione del pubblico e soprattutto dei numerosissimi operatori bancari presenti, è difficile stabilire, ma possiamo interpretare come bene accolto quel po' di combattivo e gagliardo ottimismo che i tre apicali rappresentanti del mondo del credito hanno voluto trasmettere a loro.

Un ottimismo forse culturalmente ispirato ad un antico aforisma italico riconducibile alla comoda strada della socializzazione delle perdite ed alla privatizzazione dei profitti.

Il dibattito si esprimeva nel clima contingente di una richiesta della Vigilanza della Bce (Banca centrale europea) - organismo, si badi, autonomo dal Presidente della Bce stessa -, rivolta al Monte dei Paschi di Siena per la cancellazione, entro un periodo triennale, di almeno circa dieci miliardi di crediti deteriorati.

L'obiettivo è indispensabile a Montepaschi, per affrontare gli imminenti stress test (finalizzati a soppesarne i parametri di solidità patrimoniale) ed i cui criteri di valutazione competono all'Eba (acronimo: European banking authority).

In tale contesto, il dibattito si è concentrato sulla contestazione del meccanismo del "bail in" (letteralmente: fruisci delle risorse interne) di cui il presidente Patuelli si è addirittura spinto ad asserirne l'incostituzionalità.

Come è noto, il "bail in" esclude ogni interventi di risanamento delle banche da parte di capitale pubblico (se non nell'ipotesi di crisi con potenziali effetti contagiosi) ed impone comunque il coinvolgimento degli azionisti, per depositi superiori a centomila euro, e degli obbligazionisti, se detentori di titoli a rischio elevato.

Il fresco ricordo delle norme del "bail in", comparato con il mortificante esito della recente esperienza delle quattro banche locali -  Banca Popolare Etruria, Banca Marche, Caririeti e Cariferrara - suscita naturalmente prospettive assai più preoccupanti, date le assai più notevoli dimensioni di Montepaschi, notoriamente la terza nella graduatoria delle banche italiane.

Ma la rivendicazione italiana di una interpretazione flessibile delle norme del "bail in" si scontra con l'intransigenza europea, coralmente compatta nel ribadire il rispetto delle norme già concordate.

Un quadro dove gli argomenti contrapposti dovevano essere ben chiari prima dell'approvazione dell'innovativa procedura del "bail in" di cui, da parte italiana, erano appunto responsabili politicamente e tecnicamente i tre esponenti summenzionati.

Decoro avrebbe richiesto che, quanto meno, si tentasse di giustificare la leggerezza con cui il "bail in", fu pacificamente introdotto.

E parimenti sarebbe dovere primario che fossero date risposte sui tanti provvedimenti, proprio in ambito monetario, che costellano gli oltre tre lustri del percorso della moneta unica.

A principiar dall'assurdo meccanismo della conversione della nostra lira, fomite indiscutibile di una colossale e perdurante opera di espropriazione di potere d'acquisto dei contribuenti italiani.

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