Avevamo introdotto un elemento di speranza, nel pezzo di ieri, nel descrivere succintamente il percorso che una parte del nostro comparto bancario nazionale (in stato di crisi, per sofferenza dei propri crediti o presenza di titoli tossici in portafoglio) è obbligato a percorrere.
Una speranza autorizzata dalle assertive dichiarazioni del presidente del Consiglio italiano, sulla
"piena tutela dei correntisti e dei risparmiatori" delle banche italiane in procinto di essere sottoposte ai cosiddetti "stress test" (misuratori dei parametri di robustezza patrimoniale), prescritti dalla Commissione europea e gestiti dall'Eba (European Banking Authority).
Essendo trascorsa la giornata di oggi ed avendo ascoltato dai telegiornali varie e univoche dichiarazioni non certo amabili da più fonti, politiche ed editoriali, siamo costretti a
conferire alle suddette e rassicuranti allocuzioni di Matteo Renzi, lo scopo preminente di guadagnare tempo (ma di lasciare le cose irrisolte).
Valdis Dombrovskis, vice presidente della della Commissione europea, infatti, già ieri, in sede di commissione Affari economici del Parlamento europeo, aveva sottolineato la bassa redditività e l'ammontare di sofferenze degli istituti di credito italiani.
Ebbene, oggi, altri editorialisti ed esponenti politici esteri, presumibilmente contrariati dalle parole di Renzi, hanno seccamente ribadito la procedura di rigore che deve presiedere alla politica creditizia europea, con cenno specifico al "bail in".
Ma a significare esemplarmente la perduta sovranità nazionale della politica monetaria, basti la presenza odierna, in quel di Siena, presso il Monte dei Paschi, di un gruppo di ispettori inviati dalla Bce, per verificare i conti dell'ammontare delle sofferenze del più antico Istituto di credito della storia.
A questo riguardo, corre obbligo di sospettare che a Renzi, ed ai suoi collaboratori, manchi essenzialmente la nozione di risparmiatore (che riassume in sé il depositante, il correntista, l'obbligazionista ordinario ma non quello di rischio).
Insomma è come se i nostri esponenti fossero inconsciamente fermi alla procedura del "bail out" (raccogliere gli aiuti fuori) invece che del "bail in" (raccogliere le risorse dentro) .
O forse sperava, il nostro governo, che la lettera della Bce al Monte dei Paschi con l'invito a ridurre di 10 miliardi le sofferenze, fosse un modo europeo di corrispondere amabilmente ?
Oppure il ricordo degli elevati interessi pagati da Montepaschi al Tesoro italiano con i Tremonti ed i Monti bond, nell'immaginario ministeriale, induce tuttora a pensare alla ultra centenaria banca senese, come un albero ancora prodigo di molti frutti da elargire.
Ciò fa temere che non alligni nel nostro governo la consapevolezza del (possibile) degrado dell'impresa verso la decozione ed il fallimento: ipotesi che proprio il "bail in", per sua intrinseca incertezza, può involontariamente fomentare.
Condividiamo la legittimità, intrinseca al "bail in", della presunta avvedutezza (e delle conseguenti responsabilità) dell'investitore privato in ogni impresa economica e la conseguente scelta di non scaricare sempre e comunque il rimedio agli errori, commessi nel mondo del credito, alla massa ignara dei contribuenti.
Quello cui tuttavia abbiamo fin qui assistito è stata la ruvidezza dei criteri con cui il provvedimento è calato nel mondo del credito e, soprattutto, senza alcuna preliminare diffusione dei suoi concetti ispiratori.
Come sicuramente, nel nostro paese, è risultato il "bail in" già sperimentato nelle quattro banche - Carife, Etruria, Carichieti e Marche - che ne sono state il primo e celebrato capro espiatorio.
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