sabato 9 maggio 2015

L' euro, la Consulta ed i capponi di Renzo Tramaglino

Non vi è dubbio: l'intervenuta sentenza n.70 (5 maggio c.m.) della Corte Costituzionale, cancella la legge (2011, governo Monti) che bloccava il diritto di adeguamento di un numero di oltre 5 milioni di pensioni (tutte quelle superiori a 1.500 euro lordi mensili) e ne impone il ripristino, nella pienezza del rispettivo ammontare, con effetto retroattivo.

Calcolare l'ammontare effettivo (superiore comunque ai dieci miliardi) per il periodo trascorso, prefigurare i nuovi esborsi futuri, definire modalità e tempi della restituzione: ecco le difficoltà in queste ore sotto l'attenzione di tutti ma che sono, soprattutto, un inatteso ed autentico assillo per il governo.

Non è nemmeno mancato, infatti, da parte di esponenti dell'esecutivo, il retro pensiero dell'eventuale dichiarazione di irricevibilità della sentenza della Consulta. .

Ne dissertano tutti: sindacati, politici, costituzionalisti (nell'attenzione ovvia dei pensionati, interessati diretti) in un balletto di cifre e di opinioni che oscillano dalle conseguenze contabili ai presupposti di legittimità fino alle conseguenze nel quadro dei vincoli europei ("trattati di Maastricht" e "fiscal compact", da noi addirittura elevato a rango costituzionale).

Ricordando il tempo dell'accordo sull'euro e la tranquilla ma fatale accoglienza (1998) del valore di conversione della lira in euro, non troviamo comparazione alcuna con l'affannato scompiglio presente.

Un presente che ci richiama l'episodio manzoniano di Renzo Tramaglino quando egli, per difendersi dalle prepotenze di Don Rodrigo, decide di recarsi dall'avvocato Azzeccagarbugli, e scarica la sua rabbia su un grappolo di capponi appesi al suo braccio ed ai quali, incolpevoli vittime predestinate alle pentole del suddetto leguleio (che li rifiuterà), non rimane altra reazione che beccarsi vicendevolmente.

La metafora rimandava all'Italia disunita del tempo di Manzoni ed alle sue intestine conflittualità; ora la litigiosità nazionale scaturisce da una interpretazione assurda del nostro modo di stare in Europa.

Il cui risultato è appunto la conseguenza di patti da noi assai poco saggiamente sottoscritti.

Patti di cui quello specifico della moneta unica è stato il più malefico: invece di essere un passo di accelerazione, come pur sarebbe potuto essere, verso gli Stati Uniti d'Europa, ne ha rappresentato, essenzialmente per le modalità adottate, il viatico meno compatibile con un processo storico di marca federalista.

La vocazione prevalente della nostra politica europeista non intende rendersi conto di quanto sia stato il danno derivante dalla scelta incredibile di un patto contrario ad ogni principio contabile ancor prima che economico.

Un patto che (vedi "perchè questo blog") ha espropriato e continua illegittimamente ad espropriare, presumibilmente anche altri paesi dell'euro zona, ma sicuramente noi, di fette poderose del nostro potere d'acquisto, precipitandoci in una situazione ulteriormente aggravata dal "fiscal compact" e dalle crescenti cessioni di sovranità sia giuridiche come territoriali (interne e mediterranee).

Un patto, è opportuno ribadire, di chiaro carattere leonino, e perciò, con veridica dignità, meritevole di essere, come tale, dichiarato.

E' assurdo che ci si debba trascinare da un crisi all'altra tamponando illusoriamente le criticità quotidiane pur nella constatazione che, a dispetto di tutti i sacrifici da fare o già fatti, il nostro debito nazionale cresce costantemente.

Nel voltar le spalle a questa realtà, il prezzo politico della nostra disunione e conseguente conflittualità interna, ci condurrà diritti, ad una inevitabile crescente subalternità.

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