giovedì 21 maggio 2015

Nel paese di Luca Paciolo

Forse la Corte Costituzionale prova resipiscenza per la sua recente sentenza sulla illegittimità del provvedimento (Governo Monti, 2011) sul blocco degli adeguamenti pensionistici al costo della vita.

In questi giorni, la notizia della decisione del Governo sul modo di renderla esecutiva (in misura parziale ed attento alle ripercussioni sulle imminenti sette elezioni regionali) campeggia e tiene banco sia sui quotidiani come nei telegiornali di ogni rete.

Il quadro complessivo ha aspetti molto curiosi.

L'asprezza del contrasto fra le forze sociali (sindacati e e confindustria) e in Parlamento fra maggioranza (tenuta a decidere) ed opposizione (inflessibilmente ostile alla pochezza del provvedimento governativo), è per molti aspetti paradossale.

Esiste infatti una essenza comune nello stato d'animo che scaturisce dall'evidente contraddizione in cui si trovano molte parti in commedia.

Con eccezione del M5stelle (nella precedente legislatura era infatti assente dal Parlamento)
e della Lega (che votò contro), gli altri Partiti avevano infatti votato a favore del blocco deciso dal Governo Monti, senza alcuna coscienza dell'ammontare monetario in esso coinvolto.

Il tutto deriva da una contabilità pubblica incapace di dare la misura, agli stessi legislatori, della portata monetaria degli stessi loro provvedimenti e, successivamente, di renderne edotti i magistrati (in primis, la Consulta) chiamati a sentenziare nelle relative vertenze legali, civili e penali.

Questo avviene nel paese che diede, secondo la tradizione, i natali al toscano Luca Paciolo (1445-1514), grande matematico e monaco agostiniano, che concepì i principi base della contabilità alla luce della cosiddetta partita doppia, che ancora oggi, e lo si vede, è ben lontano dal trovare cittadinanza nell'amministrazione pubblica.      

Lo si vede proprio in queste ore nel grande (e sterile) polemizzare che imperversa in questi giorni: in una ridda di cifre, che farà cinicamente sorridere chi non ci vuole particolarmente bene.

Sarebbe assai più fecondo se, quanto meno per stabilire una verità, si avesse il coraggio di verificare la responsabilità dei pochi, ancora ufficialmente ignoti, che non reagirono (o chiusero gli occhi) e acconsentirono (1998) al più incredibile esproprio di potere d'acquisto dei detentori lire, perpetrato con la stipula del patto istituzionale dell'euro.

Quella moneta unica, cosa valida in sé, che, ci venne assicurato, avrebbe accelerato il processo politico di unità europea.

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