La partita si gioca ora nelle segrete stanze di Bruxelles e delle Cancellerie. Così si esprime l'incipit del servizio di "Affari e Finanza" ("la Repubblica" di lunedì 4 maggio) che ha per titolo a caratteri cubitali: <Euro, al via la grande riforma. Un Fondo monetario per la Ue>.
Dedicando al tema quasi tre pagine, con commenti, interviste, e anticipazioni sulle novità in corso, il quotidiano asseconda ampiamente l'attenzione suscitata.
La sintesi della novità consiste in una iniziativa della Commissione Juncker che ha chiesto ai Governi un elenco di proposte per il rafforzamento dell'economia e della moneta unica.
Hollande e Renzi, parrebbe, assecondano convinti l'iniziativa, più fredda la Merkel.
Dall'intervista di Sandro Gozi, che come sottosegretario agli Affari europei, coordina il lavoro interministeriale per la Governance dell'euro, deduciamo un quadro più significativo del grado di incidenza suscitata (almeno teoricamente) dall'iniziativa stessa: "raggiungere un risultato di alto profilo" sono la sintesi delle sue aspettative.
Ma, nei contenuti, tutto il servizio è una dettagliata elencazione di criticità che, pur promanando da varie fonti, sono la cartina di tornasole di un impasse generale che efficacemente marca tutta la politica europea.
Si citano le criticità e si esprimono le esigenze di superarle: sempre dimenticando che ogni diagnosi non rimuove i malanni se non si estirpano le cause prime da cui provengono.
Dalla lunga lettura delle doglianze riportate dal (utilissimo) servizio di Repubblica, deduciamo il persistere di un comportamento che coinvolge governi e Commissione Juncker, cioè la burocrazia europea.
Il rifiuto di prendere consapevolezza di una conversione concepita male e realizzata peggio, rende infatti patetico ogni messaggio di "salto di qualità", "mercato unico nei settori fondamentali" oppure "nuovi processi di convergenza", secondo i variegati assiomi dei vari esponenti interpellati.
Formule la cui enfasi altro non è che alibi illusorio dello stallo generale europeo, politico ed economico.
Non è assillante se le cose non camminano; l'importante per i signori di Bruxelles e di Francoforte sta, al momento della resa dei conti, nel non rimanere con il cerino acceso in mano e di ribaltarne preventivamente le responsabilità sui governi nazionali.
Ma per chi, come il nostro paese, ha pagato un prezzo molto salato, forse il più salato, questo disorientamento è insopportabile oltre che incomprensibile.
In fin dei conti, il Governo Renzi non ha responsabilità politica nelle decisioni assunte nel fine dicembre 1998 quando si operò una vera e propria espropriazione, tuttora persistente nei suoi effetti, del potere d'acquisto della nostra moneta nazionale.
Era legittimo presumere che fosse interesse primario del capo del Governo una ricognizione più attenta degli eventi trascorsi, con una maggior propensione all'analisi del modo radicalmente sbagliato di realizzare una scelta giusta, quella della moneta unica.
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