lunedì 18 maggio 2015

Le (apparenti) disattenzioni di Bruxelles ed il sonno (effettivo) di Roma

Siamo resi edotti (è notizia recentissima, fonte Bankitalia) di un nuovo record del nostro debito pubblico: 2.184  miliardi (al 31 marzo scorso), quindici miliardi in più rispetto alla cifra (2.169 miliardi) fornita da analogo comunicato (sempre di Bankitalia) di circa tre settimane or sono.

Non risulta se tale incremento sia l'effetto (esclusivo o parziale) della sentenza con cui la Consulta ha ripristinato il diritto dei pensionati di fruire dell'adeguamento al costo della vita (abolito dal Governo Monti, nella precedente legislatura, poi confermato dal Governo Letta).

E' auspicabile che tale precisazione venga resa nota: in mancanza, potrebbe desumersi che la marcia del debito nazionale proceda alla velocità media assai prossima, o non lontana, ad un miliardo di debito aggiuntivo al giorno.

Comunque sia, non è priva di stranezza la circostanza che gli elementi di preoccupazione, per il Governo, e di sollecitazione quotidiana, per Bruxelles, siano soprattutto caratterizzati dal rispetto di un altro dato: quello relativo al rispetto del vincolo del 3% sul deficit annuale di ogni paese dell'euro zona.

E' assurdo infatti che, in sede ufficiale, nessuno sottolinei, con il dovuto allarme, la violazione (più che ventennale) del secondo (assai più importante) coefficiente stabilito a Maastricht.

Quello, precisamente, che consente una eccedenza del debito pubblico sul Pil (Prodotto interno lordo) fino ad un massimo del 60%, laddove il nostro paese, assai simile in proporzione a quello greco, ha ormai toccato la soglia del 135%.      

Osservando appunto il procedere faticoso della vertenza sulla crisi greca e sempre in attesa dell'ancora incerta sua definizione, è lecito desumere che gli organi competenti dell'Ue privilegino, per ora, nei nostri riguardi, una fase di monitoraggio morbido.

Razionalmente incomprensibile invece il silenzio del nostro Governo (e la corrispondente latitanza dell'opposizione) nei confronti del debito pubblico.

Un dato che forse, nell'inconscio della classe politica (variamente responsabile del suo monumentale ammontare), ha generato un potente fattore di rimozione proprio per la sua irrimediabilità.

E' doloroso notare la sordità sul tema pur nell'esistenza di estremi contrapposti del problema che giocano a nostro favore.

Quelli cioè identificabili nell'arbitrio perpetrato alla radice temporale di questo nostro ultra patologico stato di indebitamento, riconducibile sicuramente al meccanismo di conversione usato, almeno e sicuramente, nei confronti della nostra moneta.

Con la duplice fatale conseguenza di una caduta inarrestabile del nostro indice di credibilità (anche per nostro stesso comportamento rinunciatario) e di un aumento crescente della nostra subalternità internazionale.

Ma la classe dirigente continua a cullarsi nell'indifferenza pigra di una politica capace solo di scaricare sulle generazioni future il prezzo della sua neghittosità.

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