venerdì 14 agosto 2015

L'elenco benemerito di Sabino Cassese ed una verità dimenticata

L'editoriale odierno, "Una burocrazia del merito" (Corsera), di Sabino Cassese, è indubbiamente meritevole di gratitudine dei lettori che, numerosi, non avranno mancato di scorrerlo con la dovuta attenzione.

Con il massimo grado di dettaglio, l'editoriale ci rende edotti della vastità dei problemi pubblici che l'impulso riformatore del governo di Matteo Renzi, si accinge ad affrontare nell'ambito pressoché totale dell'apparato burocratico statale, nella cornice di una nuova e funzionale architettura pubblica.

Non possiamo nascondere un minimo di resipiscenza per essere stati incapaci, al contrario di quanto ritenevamo, di renderci conto della grandiosa dimensione, appunto descritta dal notissimo studioso dell'amministrazione pubblica, a cui siamo chiamati ad assistere.

Chiediamo anzi scusa perché, nel corso della lettura dell'editoriale, la inusuale e minuziosissima elencazione dei capitoli investiti dal progetto riformatore governativo, ci aveva erroneamente fatto quasi presagire un giudizio conclusivo dello studioso sulla sua difficile o impossibile percorribilità.

Lo studioso, viceversa, non solo descrive la grandiosa novità del disegno riformatore ma suggerisce con chiarezza le precondizioni più congruenti all'auspicato buon fine dell'opera riformatrice in corso d'opera.

L'editorialista sottolinea infatti un indispensabile triplice presupposto che dovrà caratterizzare il nuovo apparato burocratico che, del disegno riformatore, dovrà garantire il funzionamento.  

E ravvisa tali presupposti, specificamente, nella competenza, nell'autonomia e nella completa separazione della burocrazia dal potere politico.

Nel prendere atto, con larghe consonanze, dei concetti basilari dell'analisi dell'editoriale, nell'ambito dei consueti interessi di questo blog, ravvisiamo tuttavia un elemento che non solo ci sembra del tutto irrilevante nell'analisi di Cassese ma che per noi è condizione preliminare della riuscita di ogni riforma amministrativa, quali che siano le impostazioni cui essa si ispiri.

Un elemento che è stato oggetto sempiterno e sempre mancato dalle numerose riforme della pubblica amministrazione il cui elenco ha avuto inizio fin dai primi anni della raggiunta unità politica italiana.

Ci riferiamo alla riforma della contabilità pubblica, che è preliminare ed oggettivo strumento del buono o cattivo agire di ogni iniziativa, pubblica e privata.

Quella struttura contabile che, al contrario, nell'amministrazione pubblica, è stata sempre elemento nebuloso ed insufficiente per l'esame critico del passato e la buona previsione del futuro.

Una triste constatazione per un paese che, come abbiamo ricordato in precedenti ed opportune occasioni, ha dato i natali a quel Luca Paciolo (monaco francescano e grande matematico del Rinascimento, 1445-1514) soprattutto ricordato, come la tradizione sostiene, come colui che concepì, nella scienza della contabilità, il rivoluzionario criterio della partita doppia.    

Che nessuno è in grado di contestare come principio incontestabile della verità amministrativa ma
che, nella pubblica amministrazione, tutti coloro che lo potevano si sono ben guardati dall'applicare.

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