martedì 25 agosto 2015

Sindrome cinese ed emotività del capitale azionario

La percezione a tempo reale di ogni evento planetario, quale che sia la sua natura, non comporta naturalmente il facilitarne la sua interpretazione né tanto meno l'assumere immediate iniziative per farvi fronte.


E' appunto quello che è esemplarmente accaduto con il duplice tracollo delle borse asiatiche (mediamente superiore al 10%) e con la reazione contraddittoria delle borse occidentali: perdita dell'ordine del 5% il lunedì, rimbalzo di recupero pressoché totale il martedì.

Chiara la natura emotiva delle borse occidentali che, in preda al panico dopo la prima caduta delle sorelle asiatiche, non solo hanno snobbato la seconda caduta delle medesime ma (non certo semplicemente in base ad un promesso taglio dello 0,25% dei tassi cinesi), hanno cancellato, per ripensamento o per resipiscenza, le perdite del giorno precedente.

Quale sarà, mondialmente, la tendenza nelle prossime giornate è naturalmente imprevedibile e suona non poco auto ironico il coro mediatico quasi unanime nel rimangiarsi l'ottimismo imperante con cui, in occidente, non più di un paio di mesi or sono, dava ormai consolidata la convinzione dell'uscita dalla crisi che ci tormenta dal 2008 (e in Italia, anche dal 2003).

 Da questo stato d'incertezza, possiamo tuttavia trarre deduzioni non peregrine da queste esperienze del capitalismo azionario e dallo stato dell'arte complessivo dell'economia occidentale.

Anzitutto è fondato distinguere il capitalismo azionario dalla grande congiuntura, sottolineando che mentre la congiuntura è stata sostanzialmente immobile dal punto di vista produttivo, il capitale azionario ha realizzato invece immensi profitti in questi stessi anni.

Ciò porta a riconoscere che lo stato di benessere complessivo ha attraversato e tuttora traversa una tendenza al ribasso, pagata soprattutto dalle generazioni emergenti, specie sul piano occupazionale.

E' avvenuto che, la moneta stampata, disperdendosi fra mondo bancario e da questo, in misura minore, nel sostegno alle industrie con strategie socialmente miopi e frequentemente in modo volatile.

In particolare, nel nostro paese, dopo la caduta della sovranità monetaria e l'irresponsabile espropriazione della nostra lira al momento della sua conversione in euro, non possiamo che registrare, come supplementari aggravanti, un bilancio con un gravissimo quadruplice passivo: la staticità del Pil, la erosione del risparmio privato, la svendita dei nostri grandi asset industriali, il crescente, smisurato debito pubblico.

Dal duplice discorso odierno del nostro premier a Rimini e Pesaro, abbiamo una ulteriore conferma dell'inesistenza di ogni ipotesi che, di tali cicatrici, Matteo Renzi dimostrasse di essere, pur potendo rivendicarne l'innocenza, quanto meno consapevole.

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