martedì 26 gennaio 2016

Terzo atto dell'unità monetaria: il "Bail in" e l'ombra di Machiavelli, Guicciardini e Fichte

Tentiamo di guardare le cose europee secondo una visione non coincidente con quella vagheggiata da noi italiani ed in armonia con il manifesto di Ventotene.

- Premessa

Poniamoci dal punto di vista del cittadino tedesco e sforziamoci di immedesimarci in lui per valutare politicamente le linee di tendenza del processo unitario europeo.

Supponiamo che gli sia noto il nostro lunghissimo trascorso secolare, iniziato già dall'età del Rinascimento, che scorre, visibilmente, fino almeno alla seconda metà del secolo scorso.

Il nostro immaginario testimone può facilmente cogliere che l'Italia è un paese storicamente giovane per riuscire ad essere Nazione e Stato secondo i crismi della genesi che storicamente ha caratterizzato le grandi nazioni dell'epoca moderna, quelle europee in modo specifico.

L'Italia è pervenuta alla sua unità, deduce, almeno quattro, cinque secoli dopo quasi tutti gli altri storicamente più importanti, salvo appunto l'eccezione del suo paese.

La Germania infatti presenta, anagraficamente, un'età vicina alla nostra, eppure ha, da sempre, una compattezza statale ed una forza economica molto più robusta, pur essendo uscita sconfitta dopo entrambe le guerre mondiali.

- La memoria tedesca della storia italiana

E' difficile - pensa il nostro immaginario amico teutonico - rifarsi a motivazioni religiose (che pur furono importanti e ostative per il processo unitario italiano).

Del resto, le cattolicissime Spagna e Portogallo furono grandi potenze ma hanno conservato la loro unità. La Spagna, pur avendo subito l'occupazione islamica e suddivisioni territoriali di carattere feudale, non ha mai avuto alcuno scontro intestino di carattere religioso ed ha conservato incontaminato, almeno finora, il fondamentale richiamo unitario.

In definitiva, da quasi tre secoli, contrapposizioni di fede (con residuali, ma tragiche, eccezioni interne, come l'Irlanda, o le persecuzioni anti ebraiche) hanno cessato di influenzare o comunque a determinare i conflitti fra le nazioni.

Come si spiega, da molto tempo, che a livello dell'immaginario popolare europeo (e nord americano), gli italiani, siano sovente percepiti, per la loro appartenenza, come persone di scarsa affidabilità?
   
Può venire in aiuto, almeno teoricamente, ricordare che l'Italia ha dato i natali a due pensatori, di grande e diversa fama, che hanno innestato, nell'educazione, una miscela corrosiva della coerenza dei nostri caratteri e della nostra dimensione formativa e culturale.

Nicolò Machiavelli (Firenze 1469, ivi 1527) e Francesco Guicciardini (Firenze, 1483, Arcetri 1540) sono i responsabili incolpevoli di un duplice magistero, ciascuno robustamente concepito, ma di incompatibile coesistere, l'uno escludendo l'altro: concettualmente ma soprattutto operativamente.

Machiavelli esortava ai grandi disegni di conquista dello Stato, quali che fossero le strade per pervenirvi.

Guicciardini, suo continuatore in controcanto, uomo di grande esperienza diplomatica, è il teorizzatore dell'interesse "particulare" a vantaggio specifico di chi ha poteri e responsabilità ai vari livelli degli affari pubblici, anche a scapito eventuale del bene collettivo.

Che il pensiero di quei nostri antenati fosse convinzione originale o derivato empirico delle loro esperienze di pubblici amministratori, è difficile stabilire e forse inutile, se non irrilevante.

La storia d'Italia successiva ci mostra comunque la galleria dei reggitori dei numerosi, ricchi e rissosi stati italici, autonomi, protetti o addirittura occupati (Francia, Spagna, Austria e, in precedenza,l'Islam nella Sicilia), e che ritennero sempre di privilegiare interessi di casta (e non dello Stato) e di giocare contemporaneamente sui diversi scacchieri internazionali.

Sia per necessità o mancanza di coraggio, non ebbero mai una politica precisa e coerente, invocando sempre un esercito straniero per liberarsi di un altro e illudendosi ogni volta che il soccorritore prescelto si astenesse dal sostituirsi a quello precedente.

E' un ricorrente mix della nostra storia: in prima istanza, menzionare i grandi progetti, salvo, al minimo profilarsi dell'insuccesso, prodigarsi per salvaguardare al meglio i propri destini.

Ma rimane l'interrogativo aperto sulle motivazioni che, in senso opposto, la Germania, giovane nazione come l'Italia, ha saputo realizzare una compattezza interna, senza uguali, subito appena concluso il suo processo unitario.

- La memoria italiana della storia tedesca

Nella storia tedesca, i nostri studi di base, hanno sempre ravvisato due figure che hanno campeggiato, nella storia del pensiero teologico e filosofico, ma anche per il poderoso contributo unificante e distintivo della gente germanica.

La figura universalmente nota, per essere stato l'artefice della Riforma protestante, è rappresentato da Martin Lutero (Eiseleben, Turingia, 1483 -ivi 1546).

La grandezza di Lutero si amplia con la traduzione delle Sacre Scritture, e con essa contribuì a dare struttura sintattica e grande robustezza lessicale alla lingua tedesca, promuovendone la diffusione nel mondo intellettuale ma ancor più efficacemente, per l'afflato religioso ispiratore, nelle aree popolari.

A dare solide basi formative all'imprinting caratteriale tedesco, fu invece il filosofo Johann Gottlieb Fichte (Dresda,1762-Berlino,1814) che, nei suoi celebri "Discorsi alla nazione tedesca", seppe concepire ed a diffondere uno storico messaggio pangermanista in cui scolpì il concetto che "avere carattere ed essere tedeschi significa esattamente la stessa cosa".

- Le conseguenze nell'inconscio collettivo tedesco

E' comprensibile, dalle ricostruzioni appena espresse, almeno ipoteticamente, che il nostro concetto di Europa, efficacemente interpretato dal manifesto di Ventotene, poteva difficilmente trovare eco adesiva, in un universo politico e culturale tedesco (ed in parte nord europeo) assai distante da noi.

Le stesse connotazioni differenziali, sopra riportate, fra i due ceppi etnici (italiani e tedeschi) hanno trovato riscontri significativi e fattuali, almeno in tre importanti esperienze storiche, identificabili con tre eventi militari: nel 1866 (Prussia e Italia alleati contro l'Austria) e le due guerre mondiali.

In tutte e tre quelle esperienze, dal punto di vista tedesco, le scelte dei governi italiani, risultarono, sia militarmente, sia diplomaticamente, tutt'altro che esemplari, e che fallirono proprio sul piano della coerenza e della fermezza dei comportamenti.

Ne deriva l'inevitabile, conclusiva ed essenziale deduzione, che vede una Germania riluttante a priori, nell'accedere al progetto dell'unità europea, e soprattutto con una psicologia del tutto incompatibile con il quadro del manifesto di Ventotene e con la corrispondente matrice italica.

- L'inconscio collettivo italiano

Se rovesciamo il quadro prospettico, rendendolo più conforme alla nostra memoria collettiva, troveremo diversi e ben noti ricordi che richiamano, nel passato, antico e recente, nei rapporti con gli altri paesi, una vocazione politica ispirata al disegno egemonico, con tragici punti di persecuzione e di sangue.

Lo stesso Martin Lutero, che pur si proclamava, con indiscussa sincerità, riformatore cristiano non esitò a sopprimere con le armi intere popolazioni contadine indisponibili ai suoi comandi.

Ma se compiamo un salto in avanti di quattro secoli, incrociamo l'esperienza rappresentata dalla
seconda guerra mondiale, le cui primarie responsabilità germaniche, dagli stessi tedeschi mai poste in dubbio, e le conseguenze derivate al nostro paese, non possono essere facilmente rimosse.

Il messaggio di Ventotene, l'dea di una Europa unita, libera ed eguale, sorse appunto dall'intento di rompere una  catena millenaria di guerre di conquista e fonti inestinguibili di nuovi conflitti, in un processo  ininterrotto e distruttivo della sua stessa storia antica e nobile (di cui peraltro siamo stati anche noi, nel corso della nostra storia, pre e post unitaria, variamente corresponsabili).

Quel messaggio, è opportuno ricordare, diede un contributo fondamentale a che le condizioni di pace stabilite per la Germania, fossero fatte rientrare, nella consapevolezza del loro effetto favorevole all'interruzione di un periodo ultra secolare di scontri perenni.

- La successione degli eventi europei attuali

Nell'assai succinta rivisitazione di elementi, comunque significativi, della storia dei due popoli e dei reciproci rapporti storici, il quadro istituzionale ed economico, emerso in questo ultimo ventennio assume connotazioni certamente meritevoli di riflessione.

Dopo gli ormai lontani patti di Roma del 1957 (con i primi accordi nel campo del carbone e dell'acciaio) ed il decorso prospero e pacifico successivo, si produssero tutte le condizioni per pervenire ad una Europa unitaria politica ed economica.

Avemmo Maastricht, Schengen ed in sequenza gli accordi decisivi miranti l'adozione di una moneta unica, l'euro, con la contestuale rinuncia, da parte dei paesi aderenti, alla rispettiva sovranità monetaria.

Abbiamo avuto l'accordo di Maastricht e la sua serie di assunti (accettabili. seppur discutibili per il semplicismo dei suoi criteri ispiratori).

Con sospetta bonaria disinvoltura l'Italia, da quei criteri assai distante (specie per l'ammontare del debito pubblico, circa il doppio del coefficiente preteso dal patto), fu ugualmente ammessa ad entrare nell'euro zona.

In sequenza, in una scelta di alto valore civile e propedeutica al riconoscimento istituzionale di una sorta di cittadinanza europea, si giunse all'accordo di Schengen, e l'introduzione conseguente del diritto di libera circolazione in tutta l'Unione europea.

Purtroppo prematuramente, perché Schengen, invece che simbolo del rilancio civile e sociale del vecchio continente, ha messo a fuoco un'attitudine complessiva estranea ad ogni solidale ed autentica vocazione condivisa e programmata di partecipazione globale.

Si è invece materializzata di fatto una servitù per Grecia ed Italia (e su un piano diverso, forse più oneroso, per la Turchia), trasformate in corridoi di transito, nel quadro del processo di migrazione di che ha investito l'area mediterranea verso l'Europa tutta.

Il crescere della crisi ha ormai raggiunto i suoi limiti di sopportabilità ed in queste ore, dopo le chiusure unilaterali della maggioranza dei paesi dell'Unione, appare imminente una decisione (forse indispensabile) che ne fissi le modalità minime di sospensione.

- Il terzo atto di una conversione monetaria leonina: il "Bail in"

Questo blog, come sanno i nostri lettori, è nato proprio dall'esigenza di denunciare l'iniquità di un metodo di conversione monetaria, i cui firmatari non seppero cogliere la profonda erroneità, in punta di dottrina e di fatto.

Un meccanismo che, anche nell'ipotesi che abbia riguardato solo la lira italiana, ha comunque compromesso l'equità del tutto.

Nella pagina "Perché questo blog", proponiamo la spiegazione del nostro fondamentale rilievo critico, da nessuno mai contestata, ivi incluse le occasioni di dibattito pubblico, cui mai rinunciamo.

Il nostro pieno consenso all'idea della moneta unica europea rimane integro, nella piena convinzione che esso fatalmente decade, con danno molto accresciuto, se privato della piena equiparazione di tutte le monete partecipanti.

L'iniquità monetaria è fatalmente fattore di disunione: ne è dimostrazione l'introduzione successiva del Fiscal Compact, rimedio illusorio e vera e propria camicia di Nesso per l'economia nostra ed altrui.

La stessa entrata in vigore del "Bail in" ne è controprova ulteriore, per la sua invasività nella sovranità degli stati aderenti all'euro zona, fino a lambire principi costituzionali in tema di difesa del risparmio privato.

Il modo stesso con cui questa norma ha fatto irruzione nel nostro sistema fallimentare (il caso delle quattro banche colpite dall'amministrazione coatta amministrativa) ha assunto un carattere intimidatorio, soprattutto nei confronti degli obbligazionisti, certamente i meno responsabili del loro stato di decozione.

Difficile capire la ragione di escludere gli obbligazionisti (come ai correntisti con somme superiori ai centomila) di certi titoli subordinati, cioè con livello di rischio, dal partecipare alla liquidazione dell'asse fallimentare, con l'azzeramento d'imperio del loro valore.

La difficoltà stessa di attivare una cosiddetta Bad bank a capitale pubblico (con implicazioni non compatibili con il principio della libertà d'impresa) suscita notevoli dubbi sulle tempistiche del "Bail in".

Il che non sarebbe occasione di doglianza se, al contrario, altrove,  non si fosse attivato un imponente intervento pubblico a favore di imprese in potenziale stato di insolvenza, preordinate prima dell'entrata in vigore del suo regolamento.

Il clima complessivo, da qualsiasi parte lo si riguardi, sembra gradualmente caratterizzare, fra Bruxelles e Italia, un rapporto di subalternità della seconda.

Se non abbiamo un sistema federale, possiamo tollerare una forma di neo colonialismo del secondo millennio?                    

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