Leggere l'intervista odierna di Maria Teresa Meli, editorialista di Corsera, al Presidente del Consiglio Matteo Renzi, specificamente laddove si esprime orgoglio per l'intervento deciso dal Governo, a favore di quattro istituti di credito decotti (vedansi il post precedente e quello del 25 novembre), lascia letteralmente interdetti.
Reazione non tanto dovuta ad un minimo di pudore per la verità, ma alla deducibile ipotesi che il presidente, in una con i suoi collaboratori, non abbia affatto colto la gravità di quanto emerso dopo la presa d'atto ufficiale dello stato di decozione dei quattro istituti di credito.
Perché ove invece, la serie di criticità che stanno venendo alla luce, fosse risultata chiara, la tranquillità ostentata nell'intervista mette in discussione la stessa credibilità sua e dei ministri che lo coadiuvano, ed apparirebbe completamente grottesco ogni tentativo di edulcorare il quadro complessivo con parole non conformi a realtà.
Le compiaciute sue parole ("rivendico con orgoglio l'azione del governo, ...senza usare denaro pubblico") sono infatti già nettamente contraddette, appunto dalla rinuncia dello Stato alla riscossione degli utili devoluti dalle banche e destinati al soccorso per la continuità delle quattro banche decotte.
Ma soprattutto Renzi dimentica, o sceglie di tacere, le indiscutibili responsabilità dei ritardi accumulati prima dell'intervento, Bankitalia in primis, ed ancor più di omettere la (molto dubbia) legittimità delle iniziative assunte nel frattempo dalle banche, inclusi gli impropri e gravi utilizzi dei risparmi delle rispettive clientele.
E' chiaro infatti che la vicenda delle quattro banche rischia di travalicare le dimensioni aziendali, ed investe il modo d'essere e di interpretare la deontologia stessa del mondo bancario e minaccia di ritorcersi tutta intera contro questo e più d'uno dei precedenti governi.
La doverosa consapevolezza del gigantesco ammontare complessivo dei crediti in sofferenza (forse superiore alla cifra corrente di duecento miliardi di euro) era, ed è tuttora, sicuramente meritevole di almeno pari attenzione di tante altre iniziative, come il jobs act o la legge elettorale.
E certamente molto più meritevole dell'impegno dell'esecutivo sulla flessibilità (assai poco accortamente gestita) nel "fiscal compact" o sulla prevaricazione della volontà del Parlamento in ordine alla nomina di tre giudici della Corte Costituzionale.
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