Con un incremento del 12% sul valore complessivo dei listini rispetto al 2014, Piazza Affari, la borsa di Milano, realizza la migliore performance mondiale di tutti i mercati finanziari.
Oltre alla legittima soddisfazione per gli operatori borsistici, il risultato, nel quadro degli investimenti di rischio e dell'iniziativa imprenditoriale, è indubbiamente un positivo indicatore dell'economia complessiva del paese e un evidente sintomo di ripresa.
Un indicatore che, nello sguardo degli ultime tre lustri, ha tuttavia ancora molto cammino da compiere sol che si voglia puntare uno sguardo comparativo delle cifre di quest'anno con quelle che segnano l'intero periodo successivo all'introduzione della moneta unica.
Sorprende infatti leggere che il valore attuale di capitalizzazione di Borsa, pari a 567.000 milioni di euro, è ancora inferiore a quello del 2004, pari 581.000 milioni di euro, senza peraltro tenere conto dell'avvenuta svalutazione dell'euro.
A conferma di un protagonismo ancora imperfetto del capitale speculativo e di rischio, devesi sottolineare che, in misura percentuale al Pil (prodotto interno lordo) la capitalizzazione, è scesa, nello stesso periodo dal 43,1 % all'attuale 34,8 %).
A questo si debbono aggiungere considerazioni specifiche sulla crescente presenza di capitali stranieri, che hanno realizzato posizioni di controllo in comparti economici di grande importanza (Alitalia, Fiat, Pirelli, Grande distribuzione...).
Le Offerte pubbliche di acquisto (acronimo: Opa) sono state infatti tutte contrassegnate da presenze ragguardevoli di capitali statunitensi, francesi, cinesi e (nell'edilizia milanese in particolare) arabe.
La diminuzione relativa ed assoluta del capitale di rischio di origine nazionale, rispetto a quello degli anni precedenti l'introduzione della moneta unica, ha proprio in quest'ultima la sua preminente causale.
La sofferenza del predominio delle monete fiduciarie è tanto più forte in un paese, come l'Italia, che ne ha perso la sovranità, pagandone un prezzo di conversione che ha raggiunto i limiti dell'assurdo e dell'irresponsabilità.
Il che corrobora, quanto meno non contraddice, il giudizio sul declino progressivo della nostra credenziale di economia manifatturiera e la constatazione della diminuita capacità selettiva di una classe dirigente autoctona.
Che è la premessa di una coscienza nazionale sempre meno sensibile alla rinuncia della sovranità patria, senza aver trovato alcuna compensazione in un percorso di unità europea, su base federale.
I cui canoni, che dovevano esserne il presupposto, sono stati cinicamente demoliti.
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