sabato 26 marzo 2016

Il sempiterno ritornello: i paesi dell'euro, ad alto debito (Italia "in primis"), sono a rischio

E' stato scritto, anche qui, molto frequentemente, come, analogamente con Bruxelles, pure la Bce (Banca Centrale Europea) di Francoforte, trova efficace ed opportuno il richiamo. severo e paternalistico, ai paesi della zona euro.

Nel riscontrato allontanarsi (nonostante lo sforzo del Quantitative easing) del momento della ripresa produttiva europea, a che appigliarsi infatti, dalle burocrazie istituzionali e monetarie europee?

Semplice: al richiamo ai paesi dell'euro zona, inadempienti al duplice e contemporaneo impegno del taglio delle tasse e della spesa, o di riforme strutturali, e quindi incapaci coadiuvarne la riduzione del debito.

Ma quanti e quali sono i paesi a cui tale richiamo è stato rivolto, stavolta (il 24 marzo scorso) proprio dal bollettino dell'Istituto di Francoforte ?

Richiamo accompagnato dall'ulteriore avvertenza sul possibile verificarsi dell'ipotesi che, per essi, "la capacità di adattamento a possibili shock finanziari avversi sul piano internazionale, è piuttosto limitata" i paesi destinatari sono: Belgio, Irlanda, Spagna, Francia, Portogallo Slovenia, Finlandia ed infine, il nostro.

Per l'Italia, purtroppo, si aggiunge la non lusinghiera e fondata previsione, per l'anno in corso, di un negativo scostamento dai preventivi fissati anche nel caso che "... fosse deciso in primavera  di accordare, all'Italia, maggiore flessibilità".

Siamo alle solite, ma il fatto che ormai anche da parte della Bce (più significativamente dal suo Presidente e nostro concittadino, Mario Draghi), venga reiterato tale richiamo, rimarca l'inferiorità italiana ed il fatale ridursi di ogni possibile autonomia politica congruente con il quadro sociale italiano nel suo complesso.

E quindi, è lecito aggiungere, la concessione di maggior flessibilità, non garantirebbe al nostro paese di "evitare possibili procedure di infrazione o di misure correttive".

La conclusione è una sola: l'italia era un paese troppo importante, a livello economico, militare e geopolitico, per non essere parte indispensabile dell'Europa politica e monetaria.

Con la moneta unica, oltre ad una inevitabile rinuncia di sovranità, ha tuttavia pagato, come sappiamo, un prezzo di entrata di cui la nostra reggenza politica è stata incapace di rendersi conto (ne era, maggio 1998, addirittura soddisfatta e tale è rimasta).

Lo sviluppo della costruzione politica ha assunto connotati sempre più lontani da ogni impostazione federalista, poi, con il "Fiscal compact" siamo sempre più costretti ad una crescente subalternità.

Purtroppo, anche nella gestione del nostro tessuto economico imprenditoriale, privato e pubblico, (vedasi ns post del 23 marzo u.s.), è un allargarsi continuo di spazi a favore del capitale e della imprenditorialità straniera.

Non è quindi a rischio, a prescindere dalla moneta unica ed insieme da ogni rivendicazione nazionalistica, una situazione di indipendenza politica che ci riporta comunque molto indietro nel tempo della nostra storia ?              

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