Non è forse mai possibile, in generale, giudicare subito la bontà di una iniziativa appena assunta, senza il rischio parallelo di doversi ricredere alla resa finale delle sue conseguenze.
Questo valga in modo particolare nel mondo economico, ed ancor più significativamente nel comparto monetario.
Non riusciamo perciò a condividere, nelle recenti giornate, l'esultanza nei confronti delle decisioni assunte dalla Bce (Banca centrale europea) in ordine all'accresciuto livello di finanziamento (600 miliardi di euro, pare) ed alle modalità diverse di distribuzione rispetto alla prassi precedente.
E' noto infatti che le rate di Qe ( Quantitative easing) fin qui emesse, come vera e nuova carta stampata, secondo i poteri di competenza della Bce, venivano pro quota distribuite alle Banche centrali dei 19 paesi aderenti all'euro zona, e da queste ultime, alle banche da esse controllate.
Con le decisioni prese lo scorso 10 marzo dalla Bce, per scelta del suo presidente Mario Draghi
(parzialmente eccepita dalla Banca Centrale tedesca, quale componente del Consiglio della medesima), le modalità applicate sono state modificate.
E' stato infatti stabilito:
a) che le quote rilasciate (ed accresciute) non debbano di fatto, come finora, necessariamente passare, nei singoli paesi aderenti, per il tramite delle rispettive banche centrali, alle banche di credito ordinario ma possano essere destinate direttamente a singole imprese produttive giudicate meritevoli;
b) che il volume di denaro fornito (dalla Bce) eventualmente rimasto inattivo presso la Banca centrale del paese rispettivo, venga tassato di un coefficiente variabile (cioè rendendo non conveniente la sua mancata attivazione nei circuiti commerciali e produttivi).
Rimangono aperti alcuni importanti interrogativi già sussistenti con la fase dei primi 1200 miliardi circa del meccanismo di Qe attivato.
Il primo di tali interrogativi riguarda la persistenza della deflazione come tendenza generale delle attitudini al consumo dell'euro zona: dimostrazione evidente di una concentrazione della disponibilità monetaria e soprattutto delle poderose immissioni del Qe.
E' vero che l'applicazione di coefficienti di prelievo scoraggerà tale fenomeno e favorirà l'immissione di denaro aggiuntivo nel circuito produttivo: ma sono le banche centrali preparate a tale selezione ed individuare le imprese più meritevoli di ricevere finanziamenti aggiuntivi ?
La fiammata di borsa del giorno successivo lascerebbe intendere di sì, cioè che tale fenomeno si dovrà avverare: ma quante volte tali prospettive hanno preso la strada di immediate prese di beneficio degli speculatori ed alle conseguenti e sperimentate cadute dei listini conseguenti?
L'attivazione del mercato borsistico con stampa di carta moneta, al di là delle buone e sincere intenzioni, favorisce infatti il trasloco dei capitali privati nel mondo mobile e dinamico delle oscillazioni di borsa invece del più saggio e duraturo investimento delle azioni di tipo cassettista (cioè investite in un'impresa che fornisce stabilmente un profitto).
In un mondo della finanza che ammette tranquillamente, su scala mondiale, una incredibile proporzione di uno a nove il rapporto dei titoli direttamente connessi con le imprese produttive rispetto a quelli (altamente speculativi) da essi derivati, l'immissione di nuova carta moneta in Europa, ma parallelamente in Giappone, Cina ed Usa, induce necessariamente a profonde riflessioni.
Assistiamo infatti ad un gioco dove i più deboli, pur se smisuratamente più numerosi, subiscono iniziative di cui non possono capire le coordinate, ma con l'angoscia ulteriore che quei pochi che hanno il mestolo in mano, non siano essi pure in grado di cogliere le conseguenze del loro agire.
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