giovedì 17 marzo 2016

Quanto preme Brexit, alla Finanza internazionale?

Può la notizia di un avanzato accordo di fusione fra la la Borsa tedesca (Deutsche Boerse) e la Borsa inglese (London Stock Exchange: Lse) essere cartina di tornasole della (fragile) compattezza politica dell'Unione europea ?

Logicamente così dovrebbe accadere, ma veniamo oggi a sapere che le trattative finalizzate a tale ipotesi, di due antiche Istituzioni finanziarie tedesca ed inglese (questa nata nel 1801) sono in fase avanzata di realizzazione ma in senso inverso al fragile processo di unità politica.

I dati essenziali che ne fanno pubblicamente da cornice, sia già noti, sia recentissimi, sono tutti ampiamente meritevoli di attentissima riflessione.

Anzitutto, per noi italiani, si impone la circostanza che l'operazione include automaticamente Piazza Affari di Milano, in quanto, già da 9 anni, parte componente della sopra menzionata Lse (in cui il capitale italiano è ormai a livelli quasi irrilevanti).

E' importante rilevare, non incidentalmente, che la Lse ha, da tempo non lungo, come preminente azionista investitore lo stato del Qatar (quindi, con risorse dell'area mediorientale).

Siamo resi edotti che l'assetto partecipativo della Super borsa si configurerà nella seguente proporzione: Deutsche Boerse, in maggioranza, con il 54,4% e Lse con il restante 45,6% ( coerentemente l'amministratore delegato sarà Cartsen Kengeter, attualmente vertice della Deutsche Boerse).      

Con quasi 5 miliardi di fatturato previsto  (un per mille del capitale complessivo delle 3.200 imprese ospiti) la nuova Super Borsa, diviene un centro finanziario di primissimo piano, a livello mondiale, in condizioni assimilabili alle borse di New York e Hong Kong.

La direzione si svolgerà in modo coordinato e paritario in due sedi: Londra e Francoforte che saranno anche le sedi operative affiancate da una terza, ubicata a Milano.

Il processo di fusione, formalizzato per la fine di marzo, non verrà influenzato, quali che siano i risultati del referendum britannico relativo alla Brexit (uscita, della Gran Bretagna, dall'Ue).

Questo lascia intendere che la nuova holding finanziaria europea, in senso contrario al processo unitario politico, in chiaro stato di affanno, sceglie di trattenere saldamente quello britannico sul vecchio continente.

Ma il netto prevalere della componente tedesca in tale operazione, non può non registrare come bilancio di quasi tre lustri della moneta unica, l'indiscutibile preminenza economica della Germania.

Come illustrato nel post del 16 marzo u.s. di questo blog, secondo recentissime statistiche del FMI, l'Italia è il paese con i peggiori risultati di tutta la zona euro, per il periodo complessivo dei primi tre lustri del secolo, di fatto corrispondenti a nascita e vita dell'euro.

Viceversa la Germania, in tutti i settori della vita economica, mostra una progressione costante ed una disponibilità di risorse che non può che riguardare le modalità (per essa molto favorevoli) di introduzione dell'euro, cui è poi seguito il "Fiscal compact": sempre a nocumento nostro, sempre a vantaggio tedesco.

La crisi italiana non è dipesa solo da questo ma certamente ne è stata grandemente enfatizzata.

Comparativamente, la Germania, si è potuta giovare del doppio delle remissioni sofferte dal nostro paese, per un meccanismo di conversione della lira del tutto inaccettabile, ma tuttora perdurante.

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