giovedì 26 maggio 2016

Le differenze di comportamento (dei governi dei paesi dell'euro zona) nel 1998 rispetto ad oggi

Prendiamo in esame le principali diatribe attualmente in corso fra i governi (e opinioni pubbliche rispettive) dei paesi dell'euro zona.

Consideriamo, ad esempio, l'immigrazione e la riforma dei trattati di Dublino, (Francia contraria alle modifiche) e di Schengen (Austria, Ungheria, Polonia contrarie), la flessibilità dei criteri di bilancio (Francia ed Italia favorevoli, Germania contro), la disponibilità favorevole alla ristrutturazione del debito greco (Germania ostile) o l'armonizzazione fiscale dei paesi dell'Ue (Italia contraria).

Nemmeno la polemica, seppure sotto traccia, sull'identificazione degli autentici beneficiari delle provvidenze del Quantitative easing (con la netta contrapposizione fra Banca Centrale di Francoforte e Governo tedesco o, meglio, la Bundesbank ) sfugge a queste inevitabili logiche di primazia fra i centri istituzionali europei.

In tale cornice, a prescindere dai meriti delle singole problematiche, non potremo eludere una riflessione critica sul comportamento omogeneo e concorde (con la passiva accettazione delle rispettive opinioni pubbliche) che invece contraddistinse gli stessi governi degli undici paesi europei che si accordarono (maggio 1998) per la fondazione dell'euro, con la conversione delle rispettive monete.

La diversità odierna di pensieri e di orientamenti (fino al limite della conflittualità) e l'omogeneità indistinta di allora, non possono essere confrontate senza una amara considerazione finale sulla (scarsissima) saggezza dei governi e (l'inesistente) interessata attenzione dei loro popoli.

Fenomeno che, parimenti ripropostosi con l'allargamento successivo del numero dei paesi aderenti da 11 a 19, sul totale complessivo dei membri dell'Unione europea, ha forse una sola possibile spiegazione, anche se tutt'altro che lusinghiera.

La legittima reazione degli interessi scatta cioè quando sono evidenti le categorie sociali investite da un accordo, quale che esso sia, mentre l'interesse generale, se non intrinsecamente evidente, non smuove la pigrizia di chi, istituzionalmente, dovrebbe farsene carico per districarne le criticità.

Più precisamente di alcuni di quei governi e delle intelligenze pubbliche che (non) seppero intuire e segnalare l'incongruenza dei metodi usati e la gravità delle conseguenze, di una conversione monetaria assurda, che ai loro popoli derivarono e che tuttora perdurano.

Ma, da un punto di vista ideale e di coerenza politica, anche dalla miopia di quei governi (Germania "in primis"), che invece ne furono beneficiari, perché dall'accordo iniquo della moneta unica, fu riproposto un modello di gerarchia economica, principale fomite storico di tante guerre e tragedie secolari, che contraddisse la ragione profonda di un accordo che, di quella lunga e sanguinosa epoca, doveva segnare il definitivo riscatto.              

E questa riflessione, sicuramente per l'Italia, non può che tradursi nella richiesta di una inevitabile revisione collettiva di una conversione monetaria che sancì l'incompatibilità di ogni rapporto federale fra gli stati contraenti ed i cui crescenti dissidi rappresentano la dimostrazione più evidente.

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