Diciamo pure con franchezza che le misure del Ministero dello Sviluppo economico per convincere almeno qualche segmento del risparmio delle famiglie italiane ad investire in iniziative di piccole e medie dimensioni, ci lasciano del tutto increduli.
Valga questa valutazione per ipotizzate detassazioni per imprese medio piccole, con il ricorso ad una tassazione minima nella fase di decollo e poi gradualmente crescente, oppure alla defiscalizzazione degli utili di "imprese quotate" ed investiti in iniziative di "start up", giuridicamente autonome, ma da esse controllate.
E' infatti assai poco verosimile che tali ipotesi si rivelino capaci di smobilizzare i risparmi privati dalle loro tradizionali collocazioni.
A meno di prevedere che le banche stesse, a cui fanno capo i risparmi italiani, si mostrino propense ad agevolare prelievi dai rispettivi conti correnti (31% del totale dei 4.000 miliardi), nei depositi in gestione (30%), liquidazioni di titoli azionari od obbligazionari (24%).
Ipotesi francamente poco probabili, salvo la circostanza che siano esse banche, per prime, a focalizzare iniziative interessanti (anche per loro stesse) e quindi meritevoli di apporti di capitale fresco.
Esperienze, queste ultime, purtroppo contrassegnate da delusioni ben note, vecchie, recenti ed alcune tuttora in corso.
Ma in tal caso il decreto di "finanza per la crescita" risulterebbe superfluo, poiché tradizionalmente questo è sempre accaduto e purtroppo con non mirabili risultati, come le recenti esperienze hanno dimostrato.
Il momento di euforia per l'assodata prospettiva di un riconoscimento di flessibilità per i nostri conti pubblici non durerà nemmeno lo spazio di un mattino, e comunque la speranza di un sussulto della mentalità del risparmiatore privato, in termini di nuova vocazione all'investimento di rischio, è del tutto improbabile.
Forse, i nostri dirigenti economici si illudono di poter comunque suscitare conforto col richiamare l'elevatezza del pubblico risparmio, ostentando cifre rappresentative quasi del doppio dell'ammontare del Debito Pubblico (circa 2.200 miliardi) ma di cui, a livello individuale, sarebbe molto interessante conoscere la curva di concentrazione proprietaria.
Anche perché la benevolenza europea già ufficiosamente anticipata nel concederci particolare riguardo nel mancato rispetto dei canoni del Patto di Stabilità (una riduzione dell'8% per riconosciuto carattere di flessibilità, inerente ad oneri straordinari per investimenti, riforme e oneri di migrazione), sarà ancora una volta accompagnato dal reiterato, ennesimo e mortificante richiamo alla mancata diminuzione del nostro Debito Pubblico.
In conclusione, restiamo nello scetticismo di sempre, senza intravvedere alcuna fondata prospettiva nella capacità di Governo di guardare realisticamente lo stato delle cose del rapporto con l'Europa, e totalmente privo di perspicacia nell'interpretazione del crescente stato di subalternità in cui ci troviamo.
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