Sono molte le incognite che gravano sugli equilibri economici mondiali nelle loro componenti essenziali e lo deduciamo dal documento del vertice dei G7, conclusosi venerdì ad Ise-Shima (Giappone).
L'accenno nel documento finale alla esigenza giapponese di garanzie militari di sicurezza nel mare cinese meridionale, ha comportato la contropartita dell'impegno del Governo di Tokio di rinunciare ad una svalutazione dello yen (la moneta giapponese), apprezzatosi, nel primo periodo del 2016, di oltre il 12% nei confronti del dollaro.
Stati Uniti e Germania, uniti nel rintuzzare tale ipotesi, esplicitamente accarezzata dalla Banca Centrale del Sol Levante, ne hanno infatti impedito il deprezzamento riuscendo a preservare il buon fine dell'accordo del Tpp (Trans Pacific Partnership), sottoscritto da 12 paesi dell'area del Pacifico, Giappone incluso.
L'interesse tedesco, pur se in misura assai più ridotta degli Usa, è comunque evidente sol che si sottolinei che, in quell'area del Pacifico meridionale, transita circa la metà del commercio mondiale ed il 60% dell'export Usa, cui la Germania non vuole rimanere estranea.
Ma la guerra valutaria si sta complicando per l'emergere di molti indizi che attengono al rialzo del prezzo dei combustibili fossili, che ha toccato incrementi del 60% circa, negli ultimi tre mesi.
Non è infondato supporre che tale aumento di prezzi, possa comportare un mutamento delle politiche valutarie e commerciali di paesi primari, come Cina e Russia (la prima grande acquirente di energia, la seconda grande produttrice, quindi su fronti antitetici).
Ma sicuramente si muoveranno, corroborati dall'aumento delle materie prime energetiche, Stati tradizionalmente produttori di gas e olio combustibile: area medio oriente compresa, con tutte le tragiche conseguenze di quell'area già profondamente devastata.
Cioè tutti i paesi precisamente in preda ad una crisi da diminuzione delle entrate o vittime di spirali inflazionistiche incontenibili (come il Venezuela) per l'effetto dell'avvento di tecnologie innovatrici, parzialmente con energie rinnovabili, ma soprattutto finalizzate ad ottenere olio combustibile e gas, con processi di compressione di rocce scistose, poderosamente perseguiti dagli Stati Uniti.
Nel contempo, la Presidente della Federal Reserve americana, Janet Yellen, ipotizza pubblicamente una svolta nella politica del denaro a buon mercato (0,50 % annuo!) con imminenti propositi di elevare i tassi d'interesse per il finanziamento commerciale, pur garantendo di escludere un rialzo troppo rapido ad evitare frenate conseguenti alla ripresa economica in corso negli Usa.
Quali siano, in tale scenario, le prospettive attinenti l'economia europea e particolarmente di Eurolandia, è arduo prevedere.
Senza una seria revisione critica ed autocritica, di tutta la politica seguita fin qui, è vano pensare che l'Ue possa interpretare un ruolo preciso ed efficace, in un mondo in cui le relazioni politiche appaiono sempre più condizionate dalla concorrenza economica (e dai rapporti di forza).
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