giovedì 5 marzo 2015

“Quantitative easing”: tecniche di buona economia o versione lessicale di ricorso all'inflazione?

Taluni affermano che stampare nuova carta moneta è un mezzo di uscita dalla stagnazione economica. Altri dicono che no, non lo è: è una strada lastricata di buoni propositi ma che, se insistita, proietta il paese che l'adotta dritto verso il default.

Dunque l'Europa, o meglio la porzione di essa appunto denominata “eurozona”, è in procinto di mettere a disposizione circa 1.100 miliardi di euro, stampando in 18 mesi carta moneta per un valore equivalente, al ritmo medio di due miliardi giornalieri, per acquistare titoli di credito emessi dai 19 paesi che ne fanno parte.

Per la verità non c'è nulla di nuovo sotto il sole, se non per il volume monetario della emissione, che non sia stato già concepito, quasi un secolo fa, dal celebre economista inglese John Maynard Keynes, quando commise il sacrilegio di rompere il principio del pareggio di bilancio e lanciò la dottrina del "deficit spending".

La formula cioè che essenzialmente affermava che l'accensione di debiti, specie da parte degli stati detentori di sovranità monetaria, è una strada giusta, ma solo a condizione che essa sia idonea a promuovere una politica economica feconda di risultati concreti e positivi: opere pubbliche di pubblica utilità, finanziamenti per ricerca ed innovazione, mutui agevolati per imprese e categorie di riconosciuta capacità produttiva.

L'incognita del ”quantitative easing” sta appunto nella precedente argomentazione, cioè nello stabilire se, per l'eurozona, esistono effettivamente i presupposti, della pioggia imminente di finanziamento, di un impiego effettivamente finalizzato alla crescita effettiva di beni e servizi reali negli stati dell'eurozona che ne fruiranno.

Oppure, detto in negativo, se quei miliardi avranno lo stesso destino di andare a coprire le falle dei bilanci degli stati, o addirittura per proseguire in allegre politiche dello spreco, della corruzione e dei privilegi delle caste dirigenti.

Il dilemma ha comunque un risvolto sicuro di portata immediata, il risveglio, o meglio l'accentuarsi immediato, dell'inflazione già in atto dell'euro, a dispetto della recente, e non del tutto leale, diatriba giornalistica sulla necessità di superare una fase di deflazione.

Il carattere strumentale della quale ci sembra corretto rilevare sottolineando che semmai la stagnazione dei prezzi è riconducibile, almeno per il nostro paese, al diminuito potere d'acquisto del pubblico consumatore nel suo complesso.

L'esperimento analogo di “quantitative easing”, varato dagli Usa subito all'inizio evidente della crisi economica globale (2008) e positivamente concluso dagli Stati Uniti (creazione di 12 milioni di nuovi posti di lavoro), non può bastare a garantire una sicura e buona riuscita anche per l'eurozona.

L'economia del Nord America, infatti, è in netta prevalenza autosufficiente, e la sua capacità trainante, oltre alla sua posizione tuttora egemonica sia militarmente che economicamente, beneficia di una coesione politica nazionale da cui l'eurozona è assai lontana.

Ed infine non sia superfluo aggiungere che l'euro stesso è una moneta scaturita da un meccanismo che ha generato una disparità sbagliata ed inaccettabile, pertanto foriera di conseguenti sperequazioni nocive per coloro stessi che, a breve, ne hanno potuto trarre cospicuo e iniquo giovamento.

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