mercoledì 14 ottobre 2015

Ciò che penserebbe Keynes, e ciò che sarebbe utile pensare prescindendone

Tutti coloro che hanno frequentato il liceo, classico o scientifico, o comunque hanno dimestichezza con la storia del pensiero filosofico, conservano memoria di un pensatore fondamentale, Aristotile di Stagira (Grecia) che visse e operò nel III secolo a.C..

Ed oltre a considerarlo il grande fondatore del ragionamento logico, lo ricordano pure per il grande ascendente o, meglio, per il suo dominio culturalmente egemonico che condizionò il pensiero corrente europeo per quasi due millenni.

Quando il sapere riconosciuto ufficialmente prevalente, nel corso dei suddetti venti secoli , non approvava, per analisi oggettiva o per semplice o preconcetta contrarietà verso nuove elaborazioni di pensiero, trovava comodo e risolutivo pronunciare un motto stroncatore di due parole: "Ipse dixit".

Dove il soggetto storico identificabile con il pronome "ipse" era immancabilmente il celeberrimo Stagirita.

Ci sovviene questo ricordo per la moderna, analoga consuetudine cui un un sostenitore di scelte economiche, tende a rafforzare le proprie tesi con il richiamarsi a John Maynard Keynes,

Il famoso studioso e intellettuale che visse negli anni del la prima parte del Novecento e che è soprattutto ricordato come il teorico del principio fondamentale del "Deficit spending".

Principio giusto, da Keynes sapientemente presentato ed efficacemente diffuso, ma che, più o meno consapevolmente, è stato storicamente applicato da tutti coloro (uomini di stato o d'affari) che intrapresero nuovi percorsi di vita: cioè il necessario ricorso al debito.

Nulla di trascendentale, quindi da un punto di vista scientifico, ma meritevole indubbiamente di riconoscimento per averne saputo estrarre una dottrina che ha disinnescato l'alone di sconvenienza che in termini generali, ha sempre accompagnato il ricorso al debito.

Il che peraltro fu e rimane vero per una gamma vastissima di ipotesi, quando il progetto o l'iniziativa da finanziare non risultava concepito con bastevole competenza.

Per siffatti motivi, è solo consigliabile una sufficiente conoscenza di principi di contabilità e di ragioneria, che da sé soli, sono in grado di stabilire i vincoli di fattibilità e di autonomia di iniziativa.

Che questo ricorso ad autorità del passato possa ascriversi ad un inconscio bisogno di sicurezza, per provarla e per offrirla, è una ipotesi frequentemente riscontrata,.

Come, ad esempio, nella recente "lectio magistralis" ha fatto il prof.Jesper Jespersen,accademico danese, "sul tema: "L'euro, il deficit, il cambio, secondo Keynes" presso l'Università di Roma tre (riportata concisamente ne "il Fatto quotidiano"di oggi).  .

Dove tuttavia, si tace sulle inaccettabili modalità del meccanismo di conversione delle singole monete con l'euro e, parimenti non non si chiarisce il vero motivo delle rigide procedure che presiedono sulla formazione del bilancio dei paesi aderenti alla moneta unica.

Dove, senza disturbare Keynes e solo attingendo a semplici criteri di valutazione, osiamo ribadire l'iniquità usata nei confronti della lira e sottolineare, con identica sicurezza, che con il Fiscal Compact, a preminente vantaggio dell'economia tedesca, è stata soffocata ogni autonomia nella politica dei prezzi per l'export ed ogni duttilità di ricorso al credito per le nostre imprese.

Concludendo, non siamo lontani dal convincimento che il vero modo di essere vicini all'essenza del magistero dei grandi pensatori, risieda principalmente nell'autonoma indipendenza dei nostri giudizi.      

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