lunedì 19 ottobre 2015

- Vicenda Volkswagen - Ancora una volta, Karl Marx è costretto alla revisione delle sue tesi

La realtà della vicenda Volkswagen, nella molteplicità dei suoi dati effettivi e dei suoi caratteri trasgressivi, può considerarsi definitivamente acquisita.

E' invece tuttora aperta la serie di conseguenze che essa continua a suscitare, su scala mondiale e sotto il punto di vista civile e penale, ecologico e sindacale.

Per sentenza della stessa magistratura nazionale, la grande holding tedesca, su semplice richiesta dell'acquirente danneggiato, ha l'obbligo di provvedere alla sostituzione degli apparati di emissione dei gas di scarico, giudicati fuori legge, con l'intento di ripristinare le condizioni tecniche di legge.

Trattandosi di un numero di automezzi, ad uso civile e industriale, potenzialmente superiore al numero di undici milioni, è intuibile l'incalcolabile ammontare di oneri, finanziari ed organizzativi, di cui la Volkswagen deve farsi carico.

Ma è di queste ore l'annunciata intenzione di uno stuolo, non ancora precisato, di grandi azionisti e di aventi causa, sul punto di promuovere una cosiddetta "class action" nei confronti della holding, per i danni patrimoniali, a parere dei promotori, conseguenti alla caduta dei listini azionari (calcolata equivalente ad una somma di 40 miliardi di euro, ma suscettibile di ulteriori aumenti, fino al suo raddoppio).

L'iniziativa descritta, indipendentemente dal corso che avrà, è di per sé una novità forse assoluta in sede mondiale, perché configura una azione dei soci contro sé stessi o meglio (e qui sta forse la furbizia di un affare colossale), contro tutta l'attuale composizione azionaria, proprietaria della holding complessiva.

Simbolicamente, Karl Marx, meglio il suo spettro, al cospetto di un gruppo di capitalisti che esigono giudiziariamente, a risarcimento dei danni subiti, di rivalersi sul capitale della loro stessa azienda, non potrà non considerare la circostanza come probabile "unicum" assoluto.

Quanto meno riconsiderare, alla luce di questa nuova esperienza, il mito dell'unità e della compattezza di classe (capitalista, nella fattispecie).

Ma parimenti, almeno coloro che, variamente e più o meno rigorosamente, si rifanno a lui, non potranno esimersi dal porsi congrui interrogativi, per sostituire uno sterile fraseggiare con infeconde geremiadi, e ricorrere alla tutela sindacale, anzitutto in Germania e in tutti i paesi dove è ubicata la produzione effettiva degli automezzi che fanno capo alla holding.

In Germania, specificamente, sarebbe legittimo scoprire le ragioni del mancato funzionamento del diritto, ivi riconosciuto ed attuato, alla cogestione aziendale, intrinsecamente non compatibile o non ortodosso con il pensiero marxista.

Altrettanto è avvenuto negli stabilimenti Volkswagen operanti nel nostro paese, in contraddizione con l'art. 46 della Costituzione che legittima la cogestione, cioè la facoltà di rendere i lavoratori partecipi dell'azienda (che peraltro non ha nemmeno avuto inizio).

Come del resto, in Italia, è avvenuto per gli art. 39 (democrazia dei sindacati), 49 ( democrazia nei partiti) e 51 (parità di genere) della Carta Costituzionale.

Ma nessuno si stupisca; i sindacati italiani, in tutte le varie sedi della loro costellazione, non hanno nemmeno saputo capire, e quindi hanno subito, in modo totalmente imbelle, il  gravissimo atto di espropriazione del potere di acquisto dei lavoratori e dei pensionati derivante dal meccanismo di conversione della nostra lira nella moneta unica (compulsare la nostra finestra "Perché questo blog").
 
In quel caso, tuttavia, non era necessario Karl Marx: bastava la semplice conoscenza dell'aritmetica elementare e dei principi basilari di ragioneria degli organismi pubblici.                      

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