sabato 17 ottobre 2015

Il discrimine decisivo della crisi capitolina

E' sorprendente il florilegio di redazionali con cui, nei giorni trascorsi, tutte le testate nazionali hanno reiteratamente proposto interpretazioni molto argomentate della crisi capitolina, ufficialmente aperta con le dimissioni del sindaco Marino.

Statisticamente, è risultato preponderante il parere negativamente critico nei confronti di Marino (pur variamente calibrato), valutato, quanto meno, in una fase finale di auto difesa assurdamente contraddittoria e, più significativamente, addirittura mendace.

Le dimissioni del sindaco hanno istituzionalmente un significato assai importante, ma le interpretazioni più persuasive che ne stanno alla radice, trascendono la persona del sindaco e affondano molto indietro nel tempo coinvolgendo il complessivo corso della storia capitolina.

Di essa è possibile trovare mnemonicamente una prima e clamorosa traccia nella campagna giornalistica da cui (circa 60 anni or sono) fu marcata la nascita del settimanale "l'Espresso" che decise appunto di assumere, come specifico distintivo, il celebre aforisma "Capitale corrotta, nazione infetta".

Ciò che è essenzialmente imputabile a Marino va infatti oltre i suoi errori personali, pur notevoli, e necessariamente investe l'insufficienza culturale e politica di cui egli per primo è responsabile ma in cospicuo e sicuro sodalizio con le forze politiche che lo proposero e poi (non) l'appoggiarono.

Una insufficienza che coinvolge anzi l'intero arco politico presente e passato della città ed ha una spia decisiva nella ultra decennale e colpevole cecità sulla crescente ed inarrestabile gravità del bilancio cittadino, reso inevitabile da metodi amministrativi abissalmente lontani dall'idea stessa di trasparenza.

Con l'inevitabile conseguenza di cadere preda della facile e seducente vocazione del ricorso al debito e il  progressivo decadere del bilancio cittadino in uno stato di decozione.

Il tutto in un quadro politico cittadino, incluse le categorie economiche e dirigenti della città che, abitualmente per irresponsabile pigrizia o talvolta, per convenienza diretta, esibiscono tuttora una persistente tendenza ad ignorarlo.
      
L'esigenza di conoscere l'imponenza del debito, nettamente superiore alla cifra di venti miliardi, (circa 8.000 euro per ogni cittadino romano, bimbi compresi) così come emerso in modi estemporanei e per vie ufficiose, non fu colta da alcuno di coloro che per competenza avevano l'obbligo politico di accertarlo, sia dell'amministrazione attuale come delle precedenti.

Tutti i dirigenti politici locali e nazionali in carica sono stati piacevolmente complessati dalla psicologia di Maria Antonietta di Francia, avvezza, secondo la leggenda e già incombente la rivoluzione, a risolvere celiando la carenza di pane per il popolo con la semplice sostituzione delle brioches.

E tuttora, tutti concentrati sulla crisi capitolina, nessuno sembra in grado di rendersi conto che un tale fardello di debito è l'interrogativo primario cui dare risposta.

Lo stesso Marino del resto, senza trovare obiezioni, esordì dando per risolto il debito del Comune con il suo trasferimento di fatto alla fiscalità generale e da quel punto non appare essersi mai allontanato.

Come forse taluni si augurano che non avvenga né tuttora né giammai e che, insistendo furbescamente sui requisiti di onestà personale (presupposto morale ma non argomento politico) come necessario corredo di colui che lo sostituirà, possono tranquillamente sperare la continuità dei vecchi giochi politici e le grandi abbuffate di sempre.

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